Il mio SAHARA

"una gara per molti, ma che non sarà mai per tutti..."

Data:09.03.2009-12.03.2009
Il mio SAHARA

"UNA GARA PER MOLTI MA CHE NON SARA’ MAI PER TUTTI"

ecco lo slogan che mi ha fatto venire nel Sahara... che seppur pieno di fascino è sicuramente l’ambiente meno idoneo per la corsa... Ma è proprio questo il bello della sfida: ognuno di noi quando parte sa che troverà una natura avversa, che dormirà per terra in una tenda berbera, che potrà lavarsi poco e con poca acqua fredda, che finirà le tappe distrutto dalla fatica e con le vesciche ai piedi, ma ogni tappa finita diventerà una spasmodica attesa per la tappa successiva ed il giorno dopo ognuno di noi riprenderà la sfida con se stesso fino a quando l’ultimo dei cento chilometri non sarà percorso... Sfidare il deserto non è impresa facile, affronti le dune con il vento contrario, la sabbia ti penetra ovunque, l’escursione termica è notevole, ma poi l’emozione che provi ti ripaga di tutta la fatica!!!

Cerco di sminuire i timori che mi assalgono nel vedere fisici marmorei & abbigliamenti professionali aggirarsi nell’area-gruppi di Linate, confortandomi col fatto che 9 anni da runner, in cui ho corso 23 maratone percorrendo oltre 11.000 km, dovrebbero costituire un buon bagaglio di esperienza per tentare questa avventura nel deserto africano. Ma dentro so che non mi sono allenato come la maggior parte dei concorrenti che mi circonda: ho fatto “solo” 350 km nei primi due mesi del 2009 concedendomi anche la settimana bianca a Madonna di Campiglio.

Conosco diversi runners nelle oltre tre ore di attesa a Fiumicino e dopo pochi minuti di conversazione scopro che quasi tutti hanno corso almeno il doppio dei miei chilometri, ma il pensiero va innanzitutto alle continue piaghe e vesciche sotto i piedi apparse negli ultimi mesi. Non avevo mai sofferto di questo problema, purtroppo si è manifestato nel momento sbagliato e con l’incubo della sabbia all’orizzonte c’è di che preoccuparsi…

La Tunisia ci accoglie con nuvoloni grigi ed un vento gelido che spira dal mare, siamo a Djerba l’isola più grande del nord Africa, perla del Mediterraneo con la sua splendida vegetazione. La depressione per essere stati catapultati in un nuovo mondo è completata da una cena impresentabile nello spettrale club les Aliseè, ma fortunatamente l’Inter passa 0-2 a Marassi ed il mio compagno di camera Roby Bosco da Luino è simpatico. La domenica prevede il trasferimento verso il centro della Tunisia, circa 320 km in pullman spezzati dalla sosta a Matmata, villaggio berbero a 600 m. di altitudine dove sarà tenuta la presentazione della gara. Col passare dei chilometri cambia il paesaggio, dopo campi di terra rossa tappezzati di ulivi si scorgono le prime palme dritte e rigogliose e dopo esser saliti lungo il pendio di una montagna si vede un panorama composto prevalentemente da pietraie.

La strada dopo la sosta è una lingua d’asfalto tra ali di sabbia cosparse di cespugli secchi e striminziti: ecco il deserto! Ma in pochi guardano entusiasticamente fuori dai finestrini, forse per il timore inconscio che su strade simili ci dovranno correre nei prossimi giorni o forse perché echeggiano ancora nelle orecchie le parole di Adriano Zito, patron della corsa, che qualche minuto prima nel suggestivo scenario di case troglodite scavate nella pietra (teatro di un episodio di Star Wars IV) aveva annunciato: “So che vi aspettate un gara dura e noi abbiamo fatto di tutto per non tradire le vostre aspettative, il nuovo percorso sarà all’80% sulla sabbia...” Il traduttore per gli oltre 50 stranieri di 14 nazioni sintetizza dicendo: “…will be hard…” La grande oasi di Douz, denominata “porta del deserto”, ci accoglie all’ora di pranzo con una calda brezza da sud-est; con 600.000 palme è uno dei più grandi palmeti del paese. Il pomeriggio trascorre con le burocratiche formalità dei controlli-licenze, distribuzione pettorali e pacchi gara, ma l’ozio a bordo piscina alimenta discorsi e leggende su come ci si è allenati e preparati a questa gara; tutto ciò non fa altro che mettere tensioni e preoccupazioni, ci si chiede ad esempio se ci sarà il vento della settimana precedente, se sia il caso di indossare subito le ghette o no...

C’è chi per stemperare la tensione va a correre anche oggi… Io non vedo l’ora di iniziare la vera gara della 100 km del Sahara dopo 48 ore di chiacchiere!! Ma nonostante tutto dormo come sempre benissimo e deve suonare la sveglia per dirmi che il grande giorno è arrivato: oggi lunedì 9 marzo alle h.10,30 inizia ufficialmente la 100km: si fa sul serio! Giù la maschera: dopo mesi di sogni e fatiche il Sahara mi dirà quanto valgo e prima di farsi conquistare un piccolo pegno me lo chiederà, speriamo sia piccolo ed il più tardi possibile. Questo “gigante “di 4.000 km di lunghezza per 2.000 km di larghezza non ha un aspetto uniforme: c’è roccia dura, ciottoli & ghiaia e dune & sabbia (erg) riceve meno di 10 centimetri di pioggia all’anno ed il suo “sapore” ci arriva con lo scirocco (il caldo vento da sud-est). Il “via” della 1° tappa (22 km di cui i primi 8 esclusivamente su sabbia) libera il flusso di adrenalina, il “serpentone” di 150 corridori s’insinua rapidamente tra le dune. La moderazione è d’obbligo, sia perché domani ci sarà lo scoglio più grande rappresentato dalla maratona, sia perché il fondo sabbioso impone un martellante e continuo saliscendi.

Appena il terreno diventa soffice i piedi affondano e le caviglie sono sottoposte ad un duro sforzo che sollecita oltre misura il tendine d’Achille, inoltre là dove la pista dovrebbe essere popolata di pietre e permettere quindi di allungare il passo dando un po’ di sollievo alle caviglie, le tempeste di vento degli ultimi giorni hanno invece spinto la sabbia ad invadere tutto, trasformando i sentieri in un infinito manto sabbioso. Fortunatamente il cielo è terso & limpido e da ovest spira una piacevole brezza che contribuisce a tenere rinfrescato il corpo, tanto che risulta più ostico correre nell’umido padano che non oggi nel deserto. Il mio ego si esalta davanti all’obiettivo dei vari fotografi disseminati lungo il percorso e con un pizzico di vanità sistemo il mio stile di corsa quando mi sento inquadrato.

Arrivo al campo 1 di Bir Lectaya (un posto che non è niente se non sabbia & cespugli) in 2h.11’47’’, ma soprattutto arrivo in buone condizioni, la pomata allo zinco e le ghette col velcro (che mi hanno isolato dalla sabbia) hanno fatto il miracolo: vesciche zero, piedi intatti!! incredibile anche solo pensarlo alla vigilia! Solo un leggero dolore all’alluce sinistro per gli appoggi sempre sconnessi sulle pietre appuntite. Sono “solo” 111°, forse sono stato fine troppo prudente, ma di tempo per recuperare ce ne sarà...

La mitica tenda n.7 è finalmente una realtà: siamo in cinque anziché sei perché il malese Kong dopo diversi assensi col capo in realtà non ha mai capito il nostro invito e si è accasato altrove; meglio così, staremo un po’ più larghi. Questo tendone berbero di pelle di cammello, aperto da un lato, sorretto da bastoni è alto meno di un metro ed ospiterà le nostre 3 notti nel deserto. All’interno c’è una bella atmosfera, Antonello’53 detto Lo Zio è un imprenditore immobiliare che gestisce gli appuntamenti coi clienti in base ai suoi allenamenti, uno sportivissimo playboy brizzolato col Mercedes che eleggiamo subito “capitano”! Ricky-omnitel’73 con la fissa del numero “8” come costante nella sua vita sportiva è il concessionario Yamaha a Busto Arsizio! Tony romano lavora nel settore immobiliare, a lui non par vero di poter stare quasi una settimana senza telefono & mail! Roby’67 autista del greggio, preciso & meticoloso ha elaborato un tipo di ghette che meriterebbero il brevetto! Sembra che ci si conosca da una vita raccontandoci le emozioni della gara dopo aver fatto una doccia fatta di piccole gocce rigorosamente ghiacciate. Materassini su stuole accolgono i nostri corpi stanchi, c’è sabbia ovunque, ogni spostamento di borse ed indumenti visto il poco spazio dev’essere calcolato al centimetro, ma si ride e si scherza allegramente!!

L’accampamento ha il tendone medico, quello informatico e le 2 tende per la distribuzione & consumazione del cibo con panche e tavoli in legno, ciascuno di noi ha ricevuto gavetta & kit di posate in acciaio, ma inspiegabilmente nonostante le più zelanti opere di pulizia, la sabbia è sempre presente... Non esistono bagni, il via vai di atleti che si nascondono ai margini del campo tra le dune e dentro i cespugli sarà una costante per i 3 giorni nel deserto...

L’impressione che si ha è che sarà molto dura, ma la vita del campo ha indubbiamente il suo fascino, che si esalta nel tramonto del tardo pomeriggio quando il sole poco prima che tocchi terra ha un colore intenso, marrone, là dove i raggi perdono forza perché lottano con la polvere che si alza dal deserto. Si formano capannelli di atleti usciti dalle tende, discutono le sensazioni della tappa, fanno previsioni per il giorno seguente. Poi arriva la sera, il buio è immediato, sono solo le 19 ma in mezz’ora la temperatura scende di oltre 10 gradi. La notte che avanza invita alla riflessione, il fuoco illumina facce preoccupate, ci diciamo che non possono aver disegnato una maratona molto difficile perché si correrebbe il rischio di perdere molti atleti, mi piace distaccarmi, isolarmi pensando: “…sarà quel che sarà...lotterò e arriverò!” Finisco per sedermi in cima ad una duna, col mio fedele telefono usato sia per fare foto che come orologio e scopro sorprendentemente che c’è campo!! Wow! Mi dicono che c’è un ripetitore British Telecom a 10 km in linea d’aria da qui, per me è vita!! Senza il mio mondo non posso stare, invio sms…mi rispondono! wow la carica per la maratona arriva anche così!

Sono le 21: “bisogna” dormire, con lo sguardo oltre quel sottile strato di tela per vedere Orione, Aldebaran e le Pleiadi e con il viso lì a pochi centimetri dalla sabbia tanto da sentirne l’odore si fatica a prendere sonno subito, si lotta un po’ con il piacere di resistere a quel momento magico, ma poi la notte vola via con otto ore di sonno filato ed il 10 marzo la sveglia arriva prestissimo. Già alle 6 c’è gente che girovaga per il campo: sono soprattutto i walkers, che faranno circa 20 km tra il 13° ed il 33° km del percorso maratona. Un’ora dopo si consuma il rito della colazione del maratoneta che ognuno alimenta seguendo le varie leggende, dalla tazza di the con crostatina (io) a quelle fatte di pasta o fette biscottate spalmate con marmellate, burro, miele…La teoria del “pieno” prima di partire non l’ho mai compresa. Il 111° posto del giorno prima mi permette di essere nella prima griglia di partenza: si parte in 3 scaglioni distanziati un’ora l’uno dall’altro a classifica rovesciata, quindi partendo alle 8,30 avrò un paio d’ore di fresco in più rispetto ai top-fifty.

Il percorso si preannuncia durissimo e la previsione sarà più che rispettata: quarantadue chilometri tra sabbia e cespugli, cespugli e sabbia ed ancora sabbia e cespugli, non è una battuta ma è la visione che ci accompagnerà per tutta la giornata. La sabbia è tanta, tantissima e probabilmente sarà calpestata per 40 chilometri su 42... Si tratta di sabbia molto soffice, un po’ polvere e un po’ borotalco; ad avere energie e lucidità cerebrale per ammirare il paesaggio si poteva osservare il cambiamento da una sabbia bianca ad una rosa, quasi rossa. Anche la vegetazione è mutata: dagli alti e fitti cespugli si è passati a cespugli secchi, diradati e sparsi tra le dune.

In quest’ultima zona a 4 km dal traguardo il percorso è salito su un erg (grande collina di sabbia) ed è stato come salire su una nuvola e danzare sulla sabbia, là dove era intatta, vergine. Partendo infatti nel primo scaglione ero tra i primi 10 concorrenti a transitare in quella zona, e negli avvallamenti più o meno profondi la superficie intonsa, era rigata solo dal vento. Il caldo intanto nel primo pomeriggio aveva raggiunto i 35°; è stata una maratona che su strada asfaltata sarebbe valsa come sforzo muscolare di 60/65 km. Solo in 6 su 151 finiscono sotto le 4 ore!!

La mia maratona è stata uno spettacolo, dopo una partenza più che prudente ho corso tranquillo fino al primo ristoro posto al 13° km sotto un cielo velato senza sole e molto fresco, approfittando poi di un tratto in ciottolato, tra il 18° ed il 24° km ho incrementato l'andatura. Un paio di chilometri dopo il check-point del 25° km a causa del caldo sole, le energie sono bruscamente calate, complice anche la grande depressione che prevedeva quel tratto del percorso, dove al riparo dalle dune e senza vento sembrava di essere in un forno. Nell’aria c’erano 38 gradi. Un paio di barrette mi hanno rilanciato, ma poi ho incontrato qualche runner di troppo “al passo” che ha condizionato temporaneamente a livello psicologico la mia gara e mi sono imposto di distrarmi mentalmente per far passare il tempo mentre mi avvicinavo al 2° ristoro sito al 33° km.

Dopo essermi rifocillato con una decina di biscotti, gli ultimi 9 km li ho corsi ininterrottamente in solitaria, navigando a vista con una segnaletica appositamente scarna, scegliendo le traiettorie più consone ad accorciare i metri ma badando soprattutto alla tipologia di terreno su cui correre, perché c’era il rischio concreto che per accorciare di 500 metri si finisse poi per sprofondare nella sabbia fuoripista. Il mio gps alla fine segnerà 43.500 m.

Non sono arrivato distrutto, anzi i piedi erano ancora in uno stato di grazia dopo quasi 6 ore di corsa! Ho guadagnato 25 posizioni in classifica generale (86°) giungendo 81° al traguardo in 5h.50’41’’! Il camelbak obbligatorio (zaino da 1,5 l. d’acqua) sulla schiena non mi ha provocato posture errate nella corsa. Mi rilasso senza scarpe davanti alla tenda medica mentre la fila di atleti in attesa di cure aumenta in maniera esponenziale col passare dei minuti, l’80% dei concorrenti accusa problemi per lo più sono vesciche che dopo tante ore hanno letteralmente dilaniato i piedi già martoriati. Effettivamente in giro per il campo non c’è un podista che cammina bene... Stento a credere di non avere neanche un cerotto sul corpo...ma è così!! Posso volare ancora! Anche se mi ripeto che non esistono deserti in salita, alla fine il dislivello positivo sarà di 1.400 m.

Sul traguardo molti podisti sono arrivati stremati, non ci si aspettava di faticare così tanto, è stata una giornata che in pochi (come me) ricorderanno nei loro sogni, ma forse la maggior parte nei loro incubi. Passa una carovana di dromedari a passo lento, legati tra loro, li guardo affascinato: è incredibile come questi animali possano percorrere fino a 150 km in 20 ore, come possano resistere fino ad 8 giorni senza bere, come possano bere fino ad un ettolitro in 10 minuti.

Grazie alla loro scarsa sudorazione, ai sali minerali contenuti nei cespugli, e ad un ciclo vitale in cui i reni filtrano e riciclano parte delle urine; queste “navi del deserto” fanno della costanza il loro principio di movimento, un po’ come il maratoneta che incessantemente percorre chilometri e chilometri... Stasera c’è aria di festa al campo, si aspettano i messaggi che arrivano via mail da casa e che vengono distribuiti in ordine alfabetico durante la cena, sbuca anche una chitarra, si canta…

La luna piena sparge una diffusa luce pallida tutto attorno al villaggio, tanto che di notte all’esterno si cammina tranquillamente senza il supporto della pila. Dal mio i-pod escono le note soft di Enya che fissano i ricordi di questa memorabile giornata, alcuni brani di questo cd hanno accompagnato le scalate ciclistiche di mortirolo & zoncolan. Sono l’ideale per rivedere mentalmente tutto il film della maratona prima di dormire profondamente.
Alle 7 la melodia di “Aisha” si diffonde nel campo a stimolare quelli che come me non sono ancora in fila per la colazione; nel tepore della tenda ristorante le discussioni sono ovviamente inerenti alla tappa della giornata che ci aspetta tra breve. Sono previsti 15 km, meno dei 18 km preventivati, si accetta volentieri lo “sconto” odierno.

Oggi 3° tappa da Bir el Ghif a Camp Bibane, le gambe sono ancora indurite dal maxi-sforzo di ieri, è difficile aumentare l’andatura, ma complessivamente anche qui arrivo bene planando in discesa su Camp 3 dall’alto di un enorme complesso assolato ed infinito di dune rotonde e morbide; c’è qualcuno che si mette a correre gli ultimi 2 km a piedi scalzi... Apparentemente sembrano statiche e silenziose, ma di fatto queste colline di sabbia modellate dai venti sono soggette a continui spostamenti e ridimensionamenti dipendenti dalla forza e dalla direzione dei venti che smantellano un granello di sabbia alla volta per costruirne altre più avanti... Una tappa che in teoria sarebbe dovuta essere quasi tutta (tranne l’erg finale) sul pista dura. Ma le tempeste di vento della settimana precedente hanno portato lingue di sabbia sul percorso nei primi 8 km...arrivo 85° in 1h.46’40’’e perdo solo una posizione in classifica scendendo all’87°posto.

Mi appoggio all’arco gonfiabile dell’arrivo e sotto un sole rovente mi gusto l’arrivo di tutti i concorrenti. Non ho notizie dell’Inter che si gioca la stagione all’Old Trafford seppur con poche speranze di successo, non ho il telefono, completamente senza rete da 48 ore, ma non importa: la mia testa è qui.... la civiltà occidentale sembra lontana anni luce, questa vita da “nomade” fatta di gesti semplici, slegati spesso dalle lancette, mi sta assorbendo completamente; forse anche perché sto realizzando giorno dopo giorno un’impresa da raccontare ai nipotini.
Ho 19 minuti di vantaggio sul 100° in classifica, l’obiettivo è non scivolare oltre quella posizione… La sera fa freddo, nella notte scendiamo intorno ai tre gradi con molta umidità, quest’ultima notte in tenda passa in un attimo...

Alle 10 di giovedì 12 marzo parte la 4°tappa di 23 km che ci porterà fino all’oasi di Ksar Ghilane Il tempo, assolutamente impeccabile finora, fa i capricci e si alza un fastidioso e gelido vento contrario proprio un’ora prima del via che spazza la pista alzando tanta sabbia. Paradossalmente è il momento in cui soffro di più, mi spinge indietro, mi spezza il fiato, sulle pietre aguzze del ciottolato pago pegno con la prima ed unica vescica, mi superano in tanti. Sembra proprio che non vada nulla, questa prima ora di corsa è il momento più difficile della mia avventura.

Fortunatamente il percorso dopo una decina di km piega completamente ad Est ed il fastidio del vento si riduce considerevolmente.
A questo punto, aiutato anche dal ritorno della sabbia, da sempre mia preziosa alleata, è tutta un’altra storia e riprendo a volare già dalla suggestiva arrampicata al forte romano di Ksar Ghilane! Una struttura utilizzata anche dalla legione straniera dalla quale prende il nome l’oasi lontana meno di 4 km lungo un erg formato da una serie di piccole grandi montagne russe... Un tratto micidiale di sabbia che costringe tanti runners al passo. Io insisto: l’obiettivo di mantenere la posizione nella “generale” e l’adrenalina dell’ultimo chilometro mi mettono le ali: entro nell’oasi stremato, la vegetazione è squarciata dal rettilineo che conduce diretto all’arco del traguardo.

Arrivo 86° in 2h.45’56’’ conquistando un inaspettato 88° posto finale. Non riesco ad esprimere ciò che vorrei, troppo serio, non riesco a tirar fuori quel grido che mi ero ripromesso di urlare all’ultimo metro. La gioia c’è tutta ma forse è giusto che rimanga dentro, comunque dietro questa facciata c’è la voglia di gridare al mondo il mio orgoglio per aver terminato questa gara!! L’11° edizione della 100km del Sahara è stata caratterizzata da un percorso più selettivo rispetto a quelli precedenti. L’impressione è che questo tracciato sia più attinente allo spirito della manifestazione, in quanto alla parola Deserto o Sahara si associa sempre la parola Sabbia...

Il Deserto mi ha ammaliato perché il “nulla” che ti circonda lo puoi toccare e quando lo vivi con tutti i sensi ti affascina, ti fa innamorare… Il segreto del mio successo è stato nell’aver salvato i piedi e nell’aver avuto clemenza dal tempo! Ho lasciato passare qualche settimana prima di scrivere queste righe, se l’avessi fatto appena rientrato a casa sarei stato condizionato dall’entusiasmo dell’evento… Ho visto tanti soffrire, attraversare assolate distese di sabbia, con lo sguardo fisso sui propri passi, avrebbero dovuto guardare avanti per scorgere la pista tracciata, magari per assaporare la bellezza rude ed aspra del deserto. Ma ciò che cercavano in quei momenti non era certo una cosa artistica, ma l’affermazione di se stessi nonostante tutto attorno a loro fosse contro per poter gridare: ce l’ho fatta!!!

Il deserto mi ha concesso di respirare la sua magia, di incamerare emozioni e sensazioni caratterizzate dagli elementi che gli appartengono. Se avessi la convinzione di averlo battuto, superato, vinto, mi sbaglierei. Il deserto si è già dimenticato di me! Dei miei sforzi, del mio impegno, del mio sudore non è rimasto nulla...del nostro passaggio non c’è traccia. Le dune di sabbia sono tornate candide com’erano prima che arrivassimo noi.

Il deserto ci ha concesso però una serie di regali, personalmente l’ho visto, toccato, assaporato annusato, respirato.
A questo punto nessun vento potrà cancellare quanto porto dentro di me.

Alex


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Le mie sfide
Ho sempre amato correre, è qualcosa che puoi fare da solo, unicamente grazie alla tua volontà. Puoi andare in qualsiasi direzione, correre lento o veloce, scoprire luoghi nuovi usando solo la forza dei tuoi piedi ed il coraggio dei tuoi polmoni. Correre mi ha insegnato che perseguire una passione, è più importante della passione stessa.
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